Con gli occhi degli altri
il figlio di carta
martedì 11 settembre 2018
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Giuseppe VECCHIO - Caggianese doc ha scritto un libro difficile ma coraggioso come i compaesani, che affronta temi scabrosi e delicati, ma di grande umanità, che solo chi passa in certe situazioni può pallidamente immaginare, mentre la gran parte rifugge anche l'idea di doversene occupare. ----------------------------------------- -------------------------------------------------- |
Caro Giuseppe, anch’io l’ho letto di un fiato ma, come spesso faccio quando un libro mi piace, ho ricominciato subito a leggerlo appena finito.
È un libro bello. La scrittura è raffinata, poesia più che prosa, anche la costruzione della frase, oltre che la struttura dell’opera, è musicale, le parole cadono a martello, come se fossero l’effetto di dita che scorrono sui tasti di un pianoforte usato come uno strumento ritmico.
Mi hai detto che non si parlava di Parkinson, ma man mano che la storia si dipana mi sembra che il Parkinson (o comunque la malattia, la colpa, la vecchiaia, tutti i dolori che non ci perdoniamo e che gli altri non ci perdonano) appaia come il peccato originale che butta il camminatore fuori dal mondo e lo condanna alla sua pena. Tutti noi siamo stati abbandonati fuori dalla porta da qualcuno oppure, come ho fatto io, ce ne siamo andati per non dar fastidio. Tutti noi sentiamo di aver perso tutto e di vivere in un mondo di croste rinsecchite. Io, non so tu (anzi Tu, :-)), quando vedo famiglie, coppie felici, giovani sento come un’eco lontana di cose che ho vissuto, talvolta mi emozionano e mi salvano la vita, come succede al protagonista del tuo libro attraverso le lettere, talvolta mi fanno sentire ancora più lontana ed esclusa. È come se le lettere le avessi scritte io e poi le avessi nascoste per proteggerle nel buco di un materasso, ma ora non mi ricordo più dove le ho messe e ritengo nella memoria solo qualche brano sbiadito.
Ho molto riflettuto sul finale: mi sembrava quasi un happy end e non lo capivo. Non capivo questa sorta di omaggio al capobranco, oltretutto da te che sei un capobranco. Però poi ho pensato che l’uomo alla testa dei camminatori non è un uomo vero e proprio, è più un modo di essere, è la vita nella sua manifestazione più brutale, vita che vuole vivere, non è frenata da considerazioni morali, conosce solo il freddo, il caldo, la fame, si nutre della morte. Perciò è un happy end a metà, come deve essere: il protagonista ora cammina perché l’ha scelto, forse troverà la forza in se per fuggire, forse continuerà a camminare e nutrirsi di sogni che rimarranno tali, come spesso si fa.
Detto questo, penso che sia un libro difficile da leggere, nella forma e nei contenuti. Fai bene a rivolgersi a Sellerio, devi trovare una persona intelligente che se ne innamori e voglia correre il rischio di mandare alle stampe un prodotto-perché quello sono i libri, in ogni caso-elegante e così diverso e forse impopolare rispetto alla spazzatura che furoreggia nelle poche librerie rimaste.
Grazie per avermi fatto parte di questo tuo “figlio di carta”, che mi ricorda certi ragazzi tanto sofferenti quanto interessanti. Mi metto in moto anch’io, per quel poco che posso fare.
Bice Zumbo (Prof. di Psicologia all’Università Statale di Milano)
Molto “vere” tutte le parole e i commenti, le recensioni e i complimenti. Tra questi anche i miei umili e molto personali da mangiatrice di libri spero le siano utili.
Da lettrice le dico (come accennato alla comune amica Eliana Mastrogiovanni) che la scrittura fluida scorre come la narrazione. Le confesso che mi ha angosciato abbastanza da restarne presa e coinvolta nel volere continuare la lettura non facile, per capire cosa potesse accadere dopo.
E’ questa una strategia narrativa molto importante per il lettore che non abbandona la lettura ma ne resta rapito. Come mi diceva Eliana, nel porgerlo alla mia attenzione di semplice appassionata di lettura, non è un romanzo, non è un saggio, non è un’opera narrativa, è altro con gli “occhi degli altri” appunto!
I miei occhi hanno visto quella branda, hanno letto le lettere di ogni sfumatura e colore, hanno visto il “cammino” senza capirne inizialmente il percorso e la meta. Se lo scopo del suo libro è quello di travolgere il lettore lei ci è riuscito. Molti le hanno scritto che vogliono rileggerlo e questo fa della sua “non storia” una novità. Potrebbe essere un epistolario ma questo significherebbe incastonarlo in un genere che non ha. Molte opere anche di altre forme artistiche non hanno un genere definito e per questo trovano maggior piacere e godimento nel pubblico. Le auguro di trovare la casa editrice giusta, in quanto molte case editrici speculano sulla scrittura soprattutto dal punto di vista economico.
Ho purtroppo vissuto esperienze diverse, molto negative con case editrici anche abbastanza importanti e visto che lei ha già pubblicato in proprio, incontrare una casa editrice che si occupi soprattutto di divulgazione, promozione e distribuzione le renderebbe giustizia.
Mi auguro di conoscerla presto e la ringrazio per avermi dato l’opportunità di leggere un libro davvero originale anche per le bellissimi immagini che rendono ancor più piacevole la lettura di un libro ”sui generis”!
Gilda Ricci (moglie del Direttore del Mattino di Salerno)
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